Psicologia dell'handicap

Psicologia dell'handicap: ascolto, supporto e valorizzazione delle risorse

Vivere con una disabilità, o accogliere la disabilità di una persona cara, porta con sé sfide complesse e profonde trasformazioni nella vita quotidiana, nelle relazioni, nell’autonomia e nella percezione di sé. La psicologia dell’handicap si occupa di offrire strumenti di comprensione e sostegno a chi affronta questi percorsi, promuovendo benessere emotivo, resilienza e qualità della vita.

In questa sezione trovi articoli dedicati ai temi psicologici connessi alla disabilità: dal vissuto emotivo legato alla perdita o alla limitazione di una funzione, alle strategie per rafforzare l’autostima e le competenze relazionali, passando per la valorizzazione delle potenzialità individuali e la costruzione di una vita piena, nonostante le difficoltà.

Lo scopo di questi approfondimenti è offrire uno sguardo rispettoso e concreto, che possa essere d’aiuto a persone con disabilità, familiari, caregiver e professionisti della salute. Perché ogni storia merita attenzione, ascolto e possibilità di evoluzione.

Donna ce un ragazzo; entrambi ridono gioiosamente all'aperto sotto il sole.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 5 luglio 2018
Genitori e figli con disabilità tra luglio e settembre
Ragazza che guarda fuori da una finestra al tramonto, il cielo riflesso nel vetro.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Che cos’è?
Sagoma di una persona alla scrivania, che pensa. La bolla di pensiero a forma di cervello è frantumata.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
A volte al deficit visivo sono associate altre patologie fisiche, oppure vi sono altri disturbi dello sviluppo. Ciò comporta una iniziale difficoltà diagnostica. Questo significa che è abbastanza frequente che la diagnosi di minorazioni ulteriori al deficit visivo, sia fatta solo successivamente, ritardando l’attuazione di una educazione e abilitazione specifica. All’interno di questo variegato quadro, l’associazione tra il deficit visivo e l’autismo occupa al giorno d’oggi un posto prevalente. La difficoltà ad ottenere una diagnosi specifica dipende dal fatto che alcuni dei più diffusi disturbi ad esordio infantile, di solito vengono valutati attraverso procedure che prevedono l’utilizzo della vista . Per svolgere una valutazione di sviluppo di un bambino con deficit visivo occorre quindi una particolare preparazione. Avere una diagnosi di sviluppo è importantissimo perchè gli interventi educativi e abilitativi delle persone con disabilità multiple, debbono essere diversificati , in base al tipo di deficit. Difatti, un intervento generico, rischia di essere inefficace. Nella area delle pluridisabilità rientra quindi la doppia diagnosi di deficit visivo associato a disturbo dello spettro autistico, il settore in cui ho una competenza pspecifica.. Tale doppia diagnosi è stato oggetto di attenzione da parte del mondo scentifico e di intervento a partire dagli anni 70. Esistono anche pubblicazioni, prevalentemente in inglese, su questo tema, e resoconti su buone prassi. Qualche volta si sente dire che alcune gravissime alterazioni e ritardi dei bambini ciechi e ipovedenti sono derivanti dal deficit visivo. Ma non sempre è vero.Al giorno d’oggi siamo in grado, con una buona approssimazione, di determinare se una anomalia dello sviluppo sia una conseguenza della cecità, oppure se si tratti di un disturbo a se stante, parallelo alla patologia della vista, oppure derivante, come la cecità da una unica causa iniziale. Sovente si attribuiscono erroneamente i ritardi o le carenze nello sviluppo del comportamento verbale del bambino o della sua interazione sociale, al solo deficit visivo, come se essi fossero ritardi naturalmente conseguenti la cecità o l’ipovisione. Questo erore di valutazione è dannoso perchè, Il solo approccio educativo didattico tiflologico è assolutamente fallimentare con i bambini che hanno anche diagnosi di autismo A prescindere dalla causa biologica, deficit visivo ed autismo devono essere considerati come punti d’arrivo, che vanno valutati entrambi sul piano funzionale e non eziologico, cioè indipendentemente dalla, malattia che li ha generati. Quando abbiamo a che fare con una persona con deficit visivo e disturbo autistico, oltre alla diagnosi funzionale del deficit visivo, occorre effettuare una diagnosi funzionale del disturbo autistico. La diagnosi di autismo viene fatta sulla base dei parametri del DSM (Manuale Diagnostico E Statistico Dei Disturbi Mentali ), giunto attualmente alla quinta edizione, prende in considerazione esamina l’interazione sociale, la comunicazione e la gamma di interessi ristretti e stereotipati. Attualmente si parla di ” spettro autistico” proprio per indicare un ventaglio molto variegato di funzioni adattive che possono essere coinvolte, e per ciascuna di esse un maggiore o minore livello di gravità del danno. La varietà delle manifestazioni e dei deficit è quindi molto ampia, procedendo da persone ad alto funzionamento con buon livello intellettivo e che possono soltanto sembrare bizzarre nei comportamenti, a persone a basso funzionamento con grave ritardo e deficit cognitivo e forte passività. Abbiamo quindi gradi diversi di disabilità all’interno della stessa situazione.  D’altra parte se le tecniche tiflodidattiche non possono compensare e risolvere i problemi educativi dei bimbi con doppia diagnosi, non è possibile nemmeno attuare metodiche dei bambini solo autistici, perché la maggior parte degli interventi per bambini con autismo sono formulati e pensati per vedenti.
Persona con bastone bianco su pavimentazione tattile in un corridoio luminoso.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Progettare facilitatori ambientali efficaci per un disabile visivo
Due persone con teste colorate e astratte sono sedute schiena contro schiena contro un muro blu, usando i telefoni.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Come si valuta e che cosa si intende per efficacia di un trattamento?Le persone che soffrono di una patologia o di un disturbo cronico, sono spesso preoccupate della reale efficacia delle proposte che vengono loro fatte, specie se ciò comporta un certo sacrificio. Inoltre quando gli eventuali risultati si possono vedere solo nel lungo periodo, è ancora più difficile decidere se vale la pena, perché i risultati non sono immediatamente riscontrabili. A volte ci si accorge solo molto tempo dopo, della reale utilità di una certa attività, magari quando si è già speso tanto tempo, risorse e danaro . Per fronteggiare questo genere di incertezze, a volte le persone ripetono ciò che hanno visto essere stato utile ad altri, ma spesso le differenze individuali rendono arbitrari alcuni accostamenti. Utilizzerò la Linea Guida numero 21 “Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti”, emanata dall’Istituto Superiore di Sanità nell’ottobre 2011, come esempio per spiegare come si valuta l’efficacia di un trattamento e cosa si intende nella comunità internazionale per metodo scentifico nella ricerca psicologica.
Donna con una maglietta rosa sorride e abbraccia una giovane ragazza con trecce bionde; all'aperto.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Riflessioni sulla comunicazione della diagnosi e la relazione genitore /figlioMolti genitori sentono come un problema importante quello che riguarda l’atteggiamento da avere nei riguardi dei loro figli, in merito a cosa e quanto comunicare, in caso il bambino abbia una malattia grave oppure una condizione che crea particolari svantaggi e disabilità. La comunicazione della diagnosi, specialmente se essa riguarda una condizione per la quale non esistono rimedi di guarigione, è sempre un momento molto difficile. È arduo per un medico giungere alla conclusione di non poter fare niente per sollevare una persona da un malanno che potrebbe essere causa una grave limitazione. È difficile per chi soffre, comprendere subito realmente il significato di una diagnosi di una malattia non guaribile. La frattura che si crea nella vita di una persona quando si imbatte in un evento traumatico di questo genere, come in una malattia, crea un effetto particolare. Da quel momento cambia completamente per la persona la percezione della situazione. È come se nulla fosse come prima. Sicuramente la comunicazione della diagnosi di una malattia grave è un evento importante da gestire. Comunicare non significa soltanto dare la notizia, bensì dovrebbe comportare anche aiutare attivamente la persona a comprendere e a disporsi nel modo migliore possibile nell’affrontare la nuova situazione. Questo non può avvenire in un momento solo, ma è un processo composto da varie fasi, con un andamento differente da persona a persona, che comporta quindi una evoluzione individuale. Questo si complica quando si ha a che fare con bambini, perché vi sono elementi di complessità che derivano dal fatto che occorre gestire sia la condizione del bambino stesso, sia la reazione alla diagnosi del genitore. A volte i genitori riflettono nuovamente sulla diagnosi e sulla definizione della condizione del loro bambino, nel momento in cui si pongono il proposito di comunicarlo al bambino stesso. È assolutamente legittimo per un genitore decidere quali siano i tempi, i modi e le informazioni che è giusto comunicare. Nessuno più di lui ha il diritto di scegliere queste cose. Sicuramente però può essere oggetto di molti dubbi e preoccupazioni per un genitore, pensare come e quando farlo, e a volte potrebbe servirgli chiedere sostegno e consiglio sul da farsi a persone da lui ritenute esperte. Spesso questa è l’occasione nella quale il genitore deve ripensare alla malattia del figlio ed alle sue conseguenze, perché si pone il problema di proteggere ed aiutare il bambino stesso a comprenderla, ad affrontarla, ad affrontare le altre persone che ne parlano oppure che gli chiedono. Il genitore si interroga se è possibile dare una descrizione comprensibile di questa condizione al bambino, e lo farà tanto più facilmente quanto più egli stesso avrà un atteggiamento chiaro e ben definito rispetto alla situazione del figlio. Di solito i genitori si pongono il problema di come presentare, come chiamare o come commentare la malattia, le cure, le conseguenze pratiche, perché sentono una difficoltà specifica nel farlo, e perché intuiscono che ciò potrebbe essere doloroso. Sicuramente questa attenzione e questo timore sono il segno che si tratta di un tema delicato, di un momento importante. A volte esiste qualche novità che utile chiarire, specialmente se vi è un cambiamento clinico, oppure un qualche evento da gestire, una nuova abitudine da assumere, un ricovero, alcune medicine, oppure nuovi oggetti o ausili che prima non facevano parte della vita del bambino. I cambiamenti e gli atti che riguardano il bambino e la sua famiglia dovrebbero essere annunciati e presentati, per consentire al bimbo di avere una rappresentazione sana e realistica di quello che sta succedendo, e per metterlo in condizioni di avere elementi di spiegazione e previsione di ciò che succederà in futuro. Il genitore comunica anche il proprio stato emotivo rispetto alle cose di cui parla o durante il proprio comportamento, e a volte quindi anche l’ansia, la rabbia o la disperazione che possono essere la sua comprensibile reazione alla situazione. Purtroppo a volte il bambino apprende implicitamente alcuni atteggiamenti, ad esempio impara a temere le visite mediche o alcune persone, a non riconoscere comportamenti che possono derivare dalla malattia, oppure a non collegarli ad essa, come se si trattasse di qualcosa di completamente scollegato. Sebbene comunicare alcune informazioni delicate ad un bambino possa essere sicuramente difficile, spesso potrebbe essere utile farlo, perché il dolore che il bimbo può provare è senz’altro minore del disagio prolungato e continuo che potrebbe avere nel vivere qualcosa che non comprende, che lo spaventa comunque (anche perché gli adulti gli sembrano spaventati), qualcosa che sembra far parte di un grande segreto che lo riguarda, ma che non riesce a cogliere. È senz’altro duro per un bambino comprendere di avere dei limiti, ad esempio capire di non poter fare alcune cose, oppure di poterne fare altre ma con modalità parzialmente differenti da quelle che usano i suoi compagni. È senz’altro utile per lui sapere che queste limitazioni non dipendono da una sua colpa o da una sua personale incapacità, ma che esse derivano da qualcosa che nessuno ha scelto e che non si può togliere. Le malattie non scelgono le persone, così come le persone non scelgono le malattie, quindi avere una malattia non significa essere stato più cattivo, meno furbo, più sbagliato, anzi siccome è più difficile fare le cose malgrado certi impedimenti, sicuramente quel bambino è molto più bravo degli altri, dato che riesce a fare alcune cose partendo da condizioni molto ardue. La sua situazione è molto più difficile da comprendere per il bambino, se egli non ha la possibilità di conoscere altre persone che hanno condizioni o problematiche simili alle proprie. È come se il bimbo vivesse essendo l’unico speciale, tra tanta gente che funziona in modo diverso da lui . invece, potersi confrontare con qualcuno che gli somiglia per qualche aspetto, consente al bambino di non sentirsi solo, lo aiuta nella lunga strada che lo porterà a distinguere la propria condizione patologica dai propri meriti o demeriti, dal rispetto e dalla stima che nutrirà verso se stesso. . Quindi conoscere persone che positivamente possono fungere da modelli, aiuterà il bambino ad acquisire nella propria identità personale le caratteristiche derivanti dalla limitazione o dagli impedimenti conseguenti, senza sentirsi completamente identificato nella patologia, in quanto anche altre persone, diverse e distinte da lui, hanno quella patologia o quelle caratteristiche, eppure non sono lui. Se si tratta di una condizione o di una minorazione che praticamente esiste da sempre, il bambino è più facilitato nell’inserire tale condizione nel quadro di una propria normalità. In questo caso la malattia e le sue conseguenze possono far parte di quel genere di cose “ordinarie”, ossia facenti parte direttamente dell’identità della persona, perché fanno parte del modo quotidiano di vivere se stessi e di affrontare le cose. Molto spesso alcuni bambini imparano a dedurre la loro condizione dai comportamenti degli adulti, oppure dalle parole di spiegazione dette sotto voce, che i gli adulti accennano in varie situazioni sociali o familiari. In questo senso, qualche volta, questi bambini, ai quali non si parla delle loro malattie per timore di svelare loro un doloroso segreto, pensano di essere loro stessi depositari di informazioni riservate, che non dicono ai genitori per timore di dare loro un dispiacere, o perché hanno imparato che di quell’argomento, evidentemente è bene non parlare. Non è quindi raro riscontrare situazioni familiari nelle quali ciascuno dei componenti, adulti e piccini, desidererebbe tanto trovare ascolto, supporto e condivisione, ma non lo fa per timore di ferire l’altro, oppure perché ha appreso in modo pratico, la regola che quell’argomento è da evitare. A volte celare la diagnosi o la spiegazione di una condizione patologica non protegge il bambino, bensì lo mette invece in condizione di correre alcuni rischi importanti, come quello di apprendere in modi negativi e dannosi da altre persone una definizione denigratoria della sua condizione o della sua malattia, oppure il rischio di perdere la fiducia nel genitore quando si accorge che egli gli nasconde qualcosa di importante che lo riguarda. Per il genitore provare fatica e difficoltà nel dover comunicare queste cose non significa che non ne sarà capace, ma è il segnale della consapevolezza di stare per affrontare un tema delicato ed importante. Pensare a come farlo è già un ottimo modo di cominciare. è importante che il genitore conosca i propri atteggiamenti e sentimenti rispetto ai temi che intende affrontare con il bambino, per evitare di comunicarli in modo inadeguato o involontariamente dannoso. Se il genitore sente la necessità, egli può parlare con suo figlio in presenza di un’altra persona, in caso questo lo faccia sentire più sicuro. è importante utilizzare parole semplici ma precise, in relazione all’età, alla personalità, alla maturità emotiva ed alle possibilità di comprensione del bambino. è importante predisporsi a comunicare in modo chiaro ma senza avere fretta di aggiungere dettagli e particolari, se non prima di aver verificato che il bambino abbia compreso tutto ciò che è stato detto fino a quel momento. Quando le cose di cui parlare potrebbero risultare complicate o significative, è importante fermarsi spesso, per accogliere le reazioni del bimbo. Esse possono andare dalla reazione emotiva più forte, fino l’evitamento più totale. È importante pensare che anche l’atteggiamento del bambino si snoda in un processo dinamico, che attraversa varie fasi e cambiamenti. Quindi, anche se a volte il bambino ci chiude la porta comunicando la sua indisponibilità a approfondire, è molto importante rispettare questo, e contemporaneamente lasciare sempre al bimbo una possibilità futura di continuare il discorso quando egli si sentirà di farlo. Ciò è molto importante, perché è frequentissimo riscontrare bambini molto interessati a temi che li riguardano, ma molto in difficoltà nell’affrontarli. Conseguentemente, questi bimbi tenderanno a voler sapere e capire, ad ascoltare ciò che li riguarda, anche senza che gli adulti se ne accorgano. Nonostante ciò, essi non sembrano sempre in condizioni di sostenere una conversazione in merito. Ciò è perfettamente naturale e non deve spaventare il genitore. Si tratta semplicemente del segnale che il bambino è interessato, ma allontanandosi, egli ci comunica di aver bisogno di tempo per elaborare emotivamente le informazioni che ha ottenuto su se stesso. È importante che egli sappia che può contare sugli adulti, quando vorrà riavvicinarsi per poter continuare a capire. In ogni caso, per quanto possibile, è sempre utile indicare al bambino una possibilità di affrontare le situazioni che gli si prospettano. Si dovrebbe poter indicare al bambino una maniera per gestire le cose. Anche quando non è possibile trovare una soluzione pratica agli eventi, è importante, dopo avere ascoltato e compreso i sentimenti del bambino, prospettare una soluzione emotiva.  A volte compiere assieme delle azioni che per l’adulto potrebbero essere considerate puramente simboliche, potrebbe essere molto utile per il bambino, ad esempio conversare di un argomento delicato in compagnia di una bambola o di un orsacchiotto preferito dal bambino, chiudere una paura in una scatolina perché non torni a spaventarci nella notte, disegnare o giocare con dei burattini drammatizzando come si vorrebbe che andassero le cose, inventare assieme una canzone consolatoria da cantare nei momenti difficili, e mille altre azioni delicate e caldamente comprensive che rispecchiano le esigenze di quello specifico bambino.
Donna e bambina che si toccano le fronti, sorridendo, in un ambiente esterno soleggiato.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Lo studio offre un servizio integrato , al bambino, ai genitori e alle figure educative. La persona con disabilità può effettuare trattamenti abilitativi. I genitori vengono supportati con consulenze e sostegno. Gli insegnanti e gli altri educatori vengono seguiti nello svolgimento del progetto educativo e possono frequentare i nostri corsi per aumentare le loro competenze.  Di fronte alle difficoltà di apprendimento del linguaggio ed ai comportamenti problema è necessario fornire soluzioni adeguate alle esigenze del bambino, dei genitori, degli educatori, degli insegnanti. IL BVB Blind Verbal Behavior nasce dall’esperienza lavorativa con bambini e ragazzi con deficit visivo, disturbo della comunicazione, disturbi dello spettro dell’autismo e altre patologie complesse.
Due teste in silhouette: una blu con linee intrecciate, una arancione con un cervello, che rappresentano la salute mentale.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Per la fascia d’età 0-4 anni
Ragazzo con occhiali da sole che legge il braille, seduto a un tavolo davanti a una finestra.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Problemi bambino non vedente
Ragazzo con la mano appoggiata alla finestra, dall'aria triste; all'esterno, cielo coperto.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Sostegno psicologico per il bambino ipovedente
Ragazza ipovedente che preme le bolle su un Pop It arcobaleno, primo piano.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
L’ipovisione indica una condizione visiva di vista bassa che non può essere eliminata attraverso azioni chirurgiche, mediche, farmacologiche eccetera. Questa condizione non è una malattia, ma può essere il risultato di molte cause. Le persone ipovedenti non posseggono la stessa capacità visiva, perché l’ipovisione è una categoria generica che sta ad indicare capacità visive inferiori rispetto ad alcuni parametri, definiti dalla legge. Le persone ipovedenti possono raggiungere una qualità della vita soddisfacente, acquisendo capacità e strumenti specifici per utilizzare in modo intelligente le capacità visive residue e compensare la carenza di informazioni attraverso l’acquisizione di metodologie specifiche per utilizzare gli altri sensi. L’intervento dello psicologo per aiutare le persone ipovedenti è molto importante in ogni fascia d’età. Per ciascuna situazione occorre perseguire obiettivi importanti utili, dunque esiste una specificità per l’intervento psicologico nel bambino, dell’adolescente, nell’adulto e nell’anziano. I bambini ipovedenti dovrebbero ricevere un intervento il precoce possibile, per contrastare le problematiche psicologiche connesse all’ipovisione alla nascita.
Primo piano del viso di una persona, con naso e bocca incorniciati da grandi foglie verdi.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Come la psicologia può essere utile alle persone con problemi sensoriali?
La mano di un bambino su una superficie con il braille, che esplora i punti con le dita.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Cosa ha a che fare lo psicologo con leggere e scrivere?
Sagoma della testa di un bambino riempita con pezzi di puzzle colorati, testo
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Aiuto! il mio bambino è autistico?!
Primo piano di un occhio marrone con ciglia lunghe, illuminato dalla luce del sole, e un sopracciglio parzialmente visibile.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Su richiesta dei genitori svolgo consulenze specialistiche per determinare quale sia la strategia più utile da attuare per aiutare il bambino.Il mio ruolo professionale consiste nell’aiutare a capire quale sia il problema e trovare soluzioni efficaci. Per fare questo, svolgo una valutazione personalizzata, osservando il bambino negli ambienti dedicati del mio studio, ma anche nel suo habitat naturale. Utilizzo metodi e prove specifiche, per capire se vi siano tutti i prerequisiti psicologici per l’apprendimento . In base a ciò posso capire quale programma abilitativo sia più opportuno attuare assieme ai genitori, decidiamo il da farsi, tempi e modi. Quando richiesto, mi relaziono con gli insegnanti, per dare il mio aiuto nella pianificazione e realizzazione dell’intervento educativo. Essendo io una persona con deficit visivo grave dalla nascita, non è per me difficile entrare in sintonia e comprendere la situazione soggettiva del bambino, individuare la possibile fonte del disagio e trovare una maniera per alleviarlo.  Quindi, sebbene la valutazione sia finalizzata ad evidenziare aspetti di tipo cognitivo, per comprendere il funzionamento mentale del bambino e “disegnare “ delle attività a sua misura, queste valutazioni e consulenze avvengono sempre cercando di entrare in sintonia emotiva con il bambino, nel pieno rispetto della sua individualità ed unicità. Inoltre è importante capire quali sono le modifiche alla didattica che occorre fare per rispondere alle necessità del bambino, in base al suo quadro di sviluppo ed alle sue capacità. Perciò, in molti casi mi relaziono con gli insegnanti e gli educatori, per aiutarli ad individuare e personalizzare le strategie didattiche più efficaci. Faccio questo attraverso dei colloqui specifici, analizzando i modi e i risultati di ciò che è stato fatto fino a quel momento, partecipando alle riunioni di programmazione e, molto spesso anche alle riunioni di GLH Gruppi di Lavoro sull’Handicap che si svolgono nelle scuole dei bambini che seguo.
Persona che scrive in braille
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Come la scrittura in nero oggi si esplica in molte forme e con gradi diversi di complessità tecnologica, così il braille può essere scritto e letto attraverso varie modalità realizzative.A nessun insegnante verrebbe mai in mente di puntare direttamente alla creazione di un libro stampato in tipografia, solo perché Guttemberg inventò la stampa, senza aver insegnato ai propri alunni come si scrive con la penna o con i pennarelli. Ciò naturalmente a patto che non vi siano degli impedimenti motori, delle menomazioni delle strutture o delle funzioni tali che gli impediscano di scrivere a mano. Allo stesso modo, non si può pensare ad insegnare la produzione di un testo stampato in braille, saltando la scrittura diretta da parte del bambino, solo perché esiste un modo per produrre in braille attraverso macchine e computer. Così come è possibile produrre in nero nei modi più disparati, dal più semplice al più complesso, con la penna, con la macchina per scrivere, con la stampante del computer, con sistemi industriali di stampa, allo stesso modo in braille si può produrre un testo scritto in questi vari modi. Spesso può essere utile apprenderli tutti. Qualche volta occorre accontentarsi solo di uno dei modi possibili, se ci sono ottimi motivi per non complicarsi la vita! Così come Utilizzando la vista, per annotare un numero di telefono al volo scegliamo un foglietto ed un lapis, per scrivere un tema usiamo il quaderno, per scrivere un saggio preferiamo il computer e la stampante del computer di casa, per inviare gli inviti ad un ricevimento importante ci rivolgiamo alla tipografia. Allo stesso modo, se non esistono menomazioni delle strutture o delle funzioni che limitino la persona nell’uso di questo o quel altro modo di scrivere in braille, si può produrre testo a mano, con la macchina dattilobraille, con la stampante braille di casa, attraverso una tipografia specializzata. Conseguentemente, la scelta della modalità di scrittura non dovrebbe mai essere radicale, ma nella carriera scolastica di un bambino, si dovrebbe insegnare a scrivere in braille in tutti i modi possibili, per poter essere in grado di utilizzare queste competenze nel modo giusto al momento opportuno. Ovviamente l’apprendimento di tutto ciò, dipende da quali risorse ha a sua disposizione chi insegna e più ancora chi impara. Dall’età di sviluppo di quest’ultimo, dalla necessità o meno di soffermarsi su di una o l’altra modalità, prima di passare oltre, anche in considerazione del massimo uso che quel modo di scrivere o leggere rivestirà nella vita futura.
Mani di una persona con pelle scura che leggono il Braille su una pagina bianca.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Nella Francia del 1812, un bimbo di 3 anni in un paesino a qualche ora di carrozza da Parigi, si lesionava irreversibilmente un occhio mediante un punteruolo nella bottega di suo padre.
Rows of colorful circles in rainbow order, punched out of white paper.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Quasi sempre, è sconsigliabile utilizzare esclusivamente uno specifico strumento per tutta la vita tra i vari a disposizione, ma si dovrebbe poter essere in grado di sceglierne uno a seconda del contesto, in quanto vi sono alcune caratteristiche che possono far preferire uno a discapito dell’altro,...
Quattro figure stilizzate, una che fa la verticale, disegnate in bianco su una superficie verde.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
A proposito delle Linee Guida sull’Autismo
Una ragazza con un maglione blu si copre il viso con le mani, su sfondo verde.
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Apprendere ed utilizzare funzionalmente in modo adeguato i diversi strumenti per leggere e scrivere da parte di un bambino con deficit visivo, necessita di alcune capacità. Molte di esse, sono differenti a seconda dello strumento considerato. Alcune, invece sono comuni a tutti i mezzi di lettoscrittura e sono indipende
Ragazzi con deficit visivo
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Sono particolarmente esperta nella psicologia delle persone con deficit visivo. Seguo lo sviluppo di bambini con problematiche complesse, derivanti da patologie quali Retinopatia del prematuro, Glaucoma congenito, sindrome di Frezer, Aniridia, Amaurosi di Leber, sindrome di Norie, Ceroidolipofuscinosi,...
persona con deficit visivo
Autore: Maria Luisa Gargiulo 7 marzo 2017
Le persone con deficit visivo sono quelle affette da una menomazione agli organi ed alle altre strutture riguardanti la vista, o inte­ressate da un’alterazione delle funzioni collegate a questo senso.

Chiama per prenotare una consulenza