Se noi analizziamo le capacità presenti in un certo momento dello sviluppo di un bambino, possiamo organizzare per lui attività educative più efficaci, e possiamo metterlo in condizione di imparare secondo le sue capacità.
Inoltre possiamo agire modificando metodologie educative che possono essere inadatte a lui, sostituendole con altre più specifiche ed appropriate.
Nella mia esperienza professionale è abbastanza frequente incontrare insegnanti e genitori, frustrati per la fatica e gli sforzi profusi, ed i pochi risultati conseguiti.
Non è raro per me conoscere bambini stressati e scontenti, disinteressati ad apprendere a leggere e scrivere.
Questi insuccessi non sono colpa di nessuno.
Semplicemente ciò accade perché non sono stati sufficientemente considerate le capacità e specialmente le esigenze di quel bambino, in relazione ai prerequisiti necessari per l’apprendimento di quella specifica modalità di letto scrittura.
Questo è più frequente nei bambini con uno sviluppo disomogeneo. Ci sono infatti bimbi che presentano alcune lacune solamente in alcune loro capacità. In alcune situazioni queste problematiche sembrano quasi nascoste, perché accanto ad alcuni deficit, il bambino presenta moltissimi talenti.
Questa situazione è assolutamente normale. Difatti, alcune problematiche di sviluppo sono estremamente settoriali, cioè non coinvolgono tante altre capacità presenti, che fortunatamente, spiccano nello sviluppo di un bambino.
Sintetizzando, a mio avviso Esistono tre grandi categorie di ragioni per le quali un bambino può avere difficoltà a imparare a leggere e scrivere.
- Le modalità di lettoscrittura prescelte non sono ottimali o non vengono insegnate con metodi compatibili con il livello di sviluppo del bambino.
- Il bambino presenta alcuni problemi transitori, che diventano ostacoli per l’acquisizione dei prerequisiti specifici a quel sistema di lettoscrittura scelto, oppure generali prerequisiti a leggere e scrivere.
- Esistono alcuni problemi di tipo strutturale, cioè caratteristiche permanenti del funzionamento del bambino, che sono derivanti da problemi o deficit specifici. Il bambino quindi possiede una doppia diagnosi, magari non riconosciuta. Egli quindi non apprende a leggere e scrivere perché questa problematica non è stata ancora considerata dal punto di vista educativo.
Bambini ciechi con doppia diagnosi
Ultimamente invece di parlare di “bambino cieco pluriminorato”, preferisco parlare di ” bambino con doppia diagnosi“, perché questo ci consente di specificare esattamente oltre al deficit visivo, quale altra patologia è presente.
Questo salto di qualità è a mio avviso estremamente importante, giacché oramai sappiamo che gli interventi educativi e abilitativi dei bambini con disabilità multiple, debbono essere diversificati, in base al tipo di deficit che si aggiunge a quello visivo. Difatti, un intervento generico, rischia di essere inefficace, vanificando quindi le risorse educative che sono a disposizione, oltre che le giuste speranze dei genitori e degli operatori coinvolti.
Qualche volta si sente dire che alcune gravissime alterazioni e ritardi del funzionamento delle persone cieche, sono derivanti dalle conseguenze del deficit visivo. Ma non sempre è vero.
Al giorno d’oggi siamo in grado, con una buona approssimazione, di determinare se una anomalia dello sviluppo sia una conseguenza della cecità, oppure se si tratti di un disturbo a se stante, parallelo alla patologia della vista, oppure derivante, come la cecità da una unica causa iniziale.
Molto spesso le situazioni di doppia diagnosi sono causate da una singola e unica patologia fisica.
Questo significa che, per la maggioranza dei casi, la cecità e l’autismo sono conseguenze di una unica condizione patologica.
Essa può trovare la sua ragione in una sindrome genetica, cioè una alterazione del patrimonio ereditario che si manifesta attraverso una molteplicità di anomalie delle strutture e delle funzioni. Oppure può essere determinato da un danno neurologico, variamente causato, ad esempio come quelli che derivano dalla alta prematurità o da altri problemi alla nascita.
A prescindere dalla causa biologica i problemi devono essere considerati come punti d’arrivo, che vanno diagnosticati entrambi sul piano funzionale e non eziologico, cioè indipendentemente dalla causa che li ha generati.
Io ritengo che, dopo la diagnosi, ciò che è necessario allestire attiene sempre più a servizi di tipo educativo. Ma l’equivoco che qualche volta aleggia quando si parla di questi argomenti, sta proprio nel fatto che anche gli interventi educativi, devono essere diversificati in base alla diagnosi.
Quindi, il mio approccio diagnostico e giustificato dalla convenienza, in termini di specificità ed appropriatezza dell’intervento educativo, cioè per dare modo agli educatori di intervenire laddove è come e necessario.
Ad esempio c’è molta differenza tra un bambino cieco con un deficit cognitivo (chiamato una volta ritardo mentale), ed uno con un deficit dell’interazione sociale.
Le due cose non si equivalgono e potrebbero presentarsi anche singolarmente. Inoltre vi sono persone che presentano compromissioni di tipo psichiatrico, ed i differenti approcci, si giustificano e si diversificano da quelli più adatti per le persone con deficit psichico delle funzioni di base.
Ciò che infatti ho notato è che in alcune occasioni, definire un bimbo come pluriminorato, è stato utilizzato quale punto d’arrivo per evitare di dare una diagnosi funzionale precisa, cosa che il più delle volte equivale ad una sorta di binario morto sul da farsi.
Andare incontro alle specifiche esigenze di bambini con compromissioni così diverse e non omogenee, e alle giuste richieste dei genitori che sempre più cercano risposte adeguate, è la sfida che si pone oggi alle famiglie alle scuole, ai centri di riabilitazione e ai professionisti del settore.
Questa modalità di approcciare al problema, deriva da alcune considerazioni:
Esistonodifferenti metodologie operative di tipo educativo e abilitativo, che sono state valutate maggiormente efficaci in alcune situazioni e in presenza di alcuni specifici deficit, che invece in altri casi sono poco adatte.
Esistono particolari periodi critici, cioè fasce di età dello sviluppo, nelle quali vi è una maggiore vulnerabilità, ed altre nelle quali vi è una maggiore possibilità di aiutare il bambino a svilupparsi al meglio.
Esistono differenti tipi di problemi di adattamento della persona cieca con doppia diagnosi, in considerazione delle diverse possibili patologie di cui è affetta. Pertanto in considerazione di questo, è possibile ed è necessario potenziare l’intervento su queste aree, anziché su altre.
Quindi conoscere la doppia diagnosi del bambino cieco pluriminorato può essere utile per:
Stabilire quali metodi sono più efficaci
Stabilire in quali momenti dello sviluppo e più importante agire