Genitori e figli con disabilità tra luglio e settembre
Tra la fine della scuola e l’inizio del successivo anno scolastico c’è un lungo periodo che costituisce un momento di riposo che in certi casi però può comportare dei problemi.
Per i bambini c’è più tempo per esperienze interessanti, per stare con i genitori e avere più libertà dalle regole e dagli orari prefissati.
Accanto a questi vantaggi possono esserci anche aspetti problematici che a volte rendono questo periodo un vuoto spartiacque tra un anno scolastico e l’altro: l’isolamento dai coetanei, la noia, il distacco dagli educatori che li sostenevano durante l’anno.
Per i genitori il desiderio è quello di coniugare la qualità del tempo libero dei figli con la loro sicurezza.
Vorrebbero un periodo in cui il benessere possa prendere il posto dell’affannosa corsa ad ostacoli, tipica del periodo invernale; sentono la responsabilità di riempire di senso questo lungo tempo; temono di non sapere cosa proporre e devono arrangiarsi con la scarsità di risorse specie quando non possono personalmente adempiere ad un ruolo a tuttotondo e si trovano improvvisamente soli.
Assistenza, Organizzazione e problemi pratici
Molti aspetti organizzativi sono conseguenza della fine delle lezioni. Questo fatto determina il liberarsi di molte ore, ma anche la carenza di attività direttamente o indirettamente collegate alla scuola. L’uscita di scena di alcune figure professionali, persone alle quali il figlio veniva affidato, spesso comporta l’interruzione di alcune abitudini e il mancato completamento di apprendimenti che non sono stati del tutto acquisiti nel corso dell’anno scolastico.
Tra le varie preoccupazioni dei genitori c’è quella di sapere che sia adeguata la nuova assistenza per i loro figli con l’attenzione ed il supporto di persone effettivamente dedicate a loro.
Altri aspetti delicati in questo periodo, oltre alla funzione assistiva, sono quelli volti a fornire esperienze interessanti (funzione esplorativa) e emotivamente significative, salvaguardando il giusto livello di sicurezza.
Nell’organizzazione della vita di un figlio con disabilità operano varie persone che hanno diverse funzioni e che spesso presiedono a più di un obiettivo. Qualche volta coordinarsi e difficile e quando ciò accade l’intervento risulta frammentato e se ne perde la coerenza complessiva. Gli effetti di tutto ciò sono visibili nel lungo periodo estivo, quando l’attenzione cala e la stanchezza è tanta.
Genitori, interazione esplorativa e vacanze
Il periodo di tempo libero durante la sospensione della scuola è una risorsa utile per realizzare attività con funzione più esplorativa. Cosa s’intende per “funzione esplorativa di una relazione“? Tutte le volte che assieme ad un’altra persona sperimentiamo attività con lo scopo di provare esperienze nuove e con la voglia di ampliare l’orizzonte un po’ più in la dell’abitudine e della zona di comfort siamo coinvolti in una interazione che in quel momento è orientata ad una funzione cooperativo/esplorativa. Gli elementi d’interesse che contraddistinguono e caratterizzano le interazioni con funzione esplorativa sono la novità e l’avventura. Questi elementi possono trovare una ottima collocazione non solo nelle gite o nei viaggi assieme, ma anche nelle attività domestiche che abbiano come fine quello di stare insieme per fare qualcosa di interessante; preparare da mangiare, prendersi cura dell’ambiente domestico, sperimentare un nuovo modo di organizzare lo spazio dentro casa o ancora fare qualcosa per qualcuno.
Le interazioni esplorative, tanto necessarie quanto impegnative per un genitore, sono importanti stimoli per consolidare la relazione, e spostarla da un livello di accudimento o di insegnamento, verso un piano di scoperta senza ansia di prestazione né fretta di dover per forza imparare a far bene qualcosa.
Ci sono aspetti connessi con l’età e con il tipo di disabilità del figlio che possono impedire oppure rendere piuttosto difficile l’instaurarsi di questo tipo di clima di avventura e di scoperta.
Quando, ad esempio, un genitore è troppo preoccupato del fatto che il figlio debba per forza imparare sempre qualche cosa, difficilmente riesce a lasciarsi andare in attività condivise perché si sforza di trovare una funzione pedagogica in quello che sta facendo. In tal caso finisce quindi per irrigidirsi in una posizione di insegnante e si preoccupa di “ sprecare” il tempo in un modo apparentemente inutile mentre per il figlio invece è davvero molto salutare avere la possibilità di poter godere dell’attenzione del genitore, della sua disponibilità e dell’assenza, almeno temporanea, di un obiettivo pedagogico da perseguire.
Molto spesso i ragazzi con disabilità percepiscono il doppio livello che si crea quando qualcuno, apparentemente interessato a giocare o stare con loro piacevolmente, invece si sforza di insegnare, ponendosi di fatto in modo “tecnico“ sottoponendoli così, anche senza volerlo ad un continuo esame. Non si può sempre passare il tempo con un obiettivo educativo, perché questo significa comunicare continuamente ai ragazzi l’idea che sono inadeguati e che devono imparare di più ponendo l’attenzione principalmente su quello che loro non sanno fare.
Sebbene possa sembrare assurdo, in realtà risulta emotivamente più difficile stare con un figlio con disabilità gravi senza un obbiettivo abilitativo ma con il solo fine di condividere e sperimentare. Nella relazione con connotazioni esplorative, le due persone sono quasi sullo stesso piano e sono genuinamente coinvolte. Questa tipologia di interazioni, apparentemente leggera e informalmente divertente, è invece molto impegnativa per il genitore dal punto di vista emotivo, perché gli richiede di relazionarsi realmente con il figlio accettandolo per quello che è con le sue caratteristiche, correndo il rischio di dover sostenere l’angoscia e il dolore che questo tipo di contatto profondo può far provare.
Mettersi in gioco per fare qualcosa insieme per il gusto e il piacere di farlo, impone al genitore un grosso sforzo di adattamento alla disabilità del figlio senza combatterla e riuscendo a godere delle caratteristiche positive del suo ragazzo come persona.
Tutto questo si scontra con i limiti di interazione che derivano dalle difficoltà specifiche di alcune disabilità. Ovviamente tanto più la condizione del ragazzo è grave, tanto più è difficile per il genitore relazionarsi in modo pienamente cooperativo durante l’attività di sperimentazione e di esplorazione. In questi casi l’adulto percepisce una effettiva grande differenza di funzionamento e deve, per così dire, accontentarsi di funzionare ad un livello più basso, adattando continuamente tempi e modi rispetto a quello che farebbe normalmente.
E’ comprensibile che un genitore possa provare fatica ed essere tentato dal delegare altre persone a passare il “tempo libero” con il figlio; le vacanze però sono un momento prezioso per provarci, e nonostante le tante possibili limitazioni delle persone, c’è sempre qualcosa che possiamo fare insieme.
Genitori, Interazione educativa e vacanze
Passiamo adesso ad esaminare le potenzialità educative del periodo delle vacanze: La funzione educativa del genitore è quella nella quale egli si propone di insegnare qualcosa al figlio e guidarlo nell’apprendimento. Spesso durante il periodo invernale essa è condivisa con insegnanti, educatori, terapisti e varie altre persone. Qualche volta il genitore è addirittura tagliato fuori da questo tipo di attività, specie quando alcuni professionisti hanno la tendenza a tenerlo distante dai momenti di apprendimento, per poter meglio gestire le problematiche emotive del ragazzo ed evitare interferenze. Questa scelta, che in alcuni casi a breve termine può essere condivisibile, implica un’enorme svantaggio a lungo termine: mantenere il genitore distante dai momenti di apprendimento, può creare in lui un senso di smarrimento quando la sua presenza è indispensabile, proprio come quando, nei periodi di vacanza, è necessario che il genitore prosegua alcune attività.
Tutti gli apprendimenti collegati all’acquisizione delle autonomie personali come lavarsi, vestirsi, svestirsi, preparare lo zaino, mangiare, sistemare i propri spazi necessitano di una generalizzazione da parte dei familiari anche quando vengono insegnati da professionisti dell’educazione o della abilitazione. Nessuna di queste competenze acquisite infatti avrebbe senso se non venisse poi effettivamente trasportata nella vita di tutti i giorni della persona e resa applicabile nella più ampia gamma di situazioni possibili. La funzione del genitore è dunque quella di proseguire consolidando gli apprendimenti all’interno delle abitudini quotidiane. Le vacanze estive offrono una ottima occasione per svolgere questo compito; ma per far ciò il genitore deve potersi sentire pienamente sicuro e coinvolto. Per i genitori non aver assistito alle attività educative invernali relative all’autonomia può essere un ostacolo, mentre se si è proceduto ad un coinvolgimento familiare a partire dalle abilità emergenti fino al consolidamento delle varie capacità i genitori in estate sono già esperti nella generalizzazione, e quindi possono sentirsi ingaggiati nel lungo periodo di vacanza, usandolo come un laboratorio di vita.
Per i genitori è quindi importante conoscere i livelli attuali delle abilità emergenti cioè quello che il figlio ha iniziato ad abbozzare senza saperlo fare davvero, delle abilità in corso di acquisizione, cioè ciò che sa fare parzialmente con aiuto, e delle abilità acquisite, cioè quelle sulle quali non deve essere assistito. Sarà anche utile sapere, per ciascuno di questi livelli, quale è il tipo di aiuto necessario ed in che momenti deve essere dato sia per evitare di sottostimare le difficoltà che per non doversi sostituire al figlio in ciò che saprebbe già fare da solo, evitando così il rischio di causare una regressione delle acquisizioni verso livelli precedenti.
Se poi addirittura il ragazzo non pratica affatto durante l’estate alcune abilità faticosamente costruite , può accadere che esse vadano perse. Questo è ancora più probabile se durante l’estate c’è stata un’alternanza di parenti vari che, per esigenze di forza maggiore, devono collaborare.
Se invece il familiare viene coinvolto nei livelli effettivi di autonomia, può consentire il consolidamento delle abilità acquisite, contribuire alla generalizzazione delle competenze apprese, in modo che ciò che la persona ha imparato, si trasferisca nella vita quotidiana stabilmente. Per far ciò è consigliabile terminare le attività a fine giugno fissando in modo chiaro e preciso i risultati conseguiti e delle modalità necessarie per continuare il lavoro svolto.
Genitori, vacanze e autonomia personale
Dunque le vacanze estive possono essere un utile momento per generalizzare le competenze. E’ proprio questo il momento nel quale si può godere dei frutti di ciò che è stato fatto durante l’inverno, a patto che la famiglia, sebbene sia faticoso, prosegua in linea di continuità con le metodologie e gli obiettivi perseguiti durante l’anno.
È piuttosto illusorio attendersi che un ragazzo metta in atto le nuove abilità apprese, se il genitore continua a comportarsi come faceva nel periodo in cui queste non esistevano ancora.
Nonni, genitori e altri parenti, dovrebbero evitare di comportarsi l’estate successiva esattamente come facevano in quella precedente, ignorando queste nuove acquisizioni. L’atteggiamento degli adulti è infatti un fattore relazionale importante che predispone il ragazzo a percepire qual è il comportamento che ci si aspetta da lui, cosa può e cosa non può chiedere. Attuare da parte della famiglia un atteggiamento troppo assistivo nelle aree in cui durante l’inverno si è lavorato per le autonomie personali, rischia di vanificare ciò che è stato fatto.
Ciò inoltre comporta un certo stress emotivo, per il ragazzo che in tal modo non sente riconosciuti i suoi sforzi di diventare più autonomo (qualsiasi sia la sua condizione) e più “adulto” proprio nel momento in cui ha bisogno di forza, di coraggio e del riconoscimento delle capacità personali raggiunte. Talvolta non ci si accorge di trattare bambini e ragazzi con disabilità come se fossero più piccoli e più incapaci di quanto essi in realtà siano.
L’infantilizzazione è un meccanismo psicologico che protegge il genitore dall’angoscia e dal dolore quando egli si relaziona con le differenti capacità del figlio. A volte si preferisce pensarlo come ancora piccolo, capriccioso, stanco oppure disinteressato ad imparare, piuttosto che entrare in contatto con la precarietà e la lentezza di questi processi di apprendimento, quando sono ostacolati da una disabilità. Ma proprio perché questi piccoli traguardi dei loro figli sono il frutto di grandi sforzi, è necessario dar loro il giusto peso, riconoscendo dignità alla persona nell’apprezzare ciò che è in grado effettivamente di fare.
Non è giusto vestire persone che sono in grado di farlo da sé, e neppure sostituirsi totalmente in un compito che la persona è in grado di fare parzialmente. Ad esempio imboccare un giovane capace di usare le posate, sebbene lentamente e con fatica, significa spostare una parte del suo funzionamento sotto il controllo dell’assistenza di un’altra persona, quando ciò non è necessario. L’estate, con i suoi tempi dilatati, ci consente di dedicare i giusti ritmi a tutte quelle attività che avrebbero bisogno di tanto impegno e tanto tempo, ma che durante l’inverno trascuriamo perché abbiamo sempre in mente che il tempo è poco.
Vacanze, fratelli e interazioni sociali
La vita dei ragazzi con disabilità è spesso caratterizzata da attività in cui gli adulti sovrintendono anche alle interazioni tra i pari. Sia a scuola, nelle attività abilitative di gruppo ed in quelle educative pomeridiane, che nei centri estivi, nelle attività con assistenti dedicati, la necessaria presenza dell’adulto a volte interferisce nella nascita e nell’evoluzione spontanea di relazioni tra bambini. Effettivamente sono molti i casi in cui le abilità sociali della persona, specie quando c’è una disabilità relazionale, necessitano di un adulto che possa aiutarla ad interagire con i suoi pari dato che spontaneamente non saprebbe come farlo. In questi casi è necessario che gli adulti siano presenti il minimo indispensabile , per agevolare lo scambio, per insegnare come si fa ad interagire ma anche per soddisfare la legittima sacrosanta necessità dei ragazzi con disabilità di stare con gli altri ragazzi, lontano dal controllo soccorrevole e pesante degli adulti.
Il fine più nobile di un adulto per quanto concerne l’interazione tra pari è quello di diventare non più necessario; cioè di aver insegnato e guidato verso le relazioni fino al punto di non servire più.
A volte però gli sforzi profusi non riescono a soddisfare questo grande bisogno di stare insieme, anche perché spesso, ci sono interessi, bisogni e livelli di funzionamento talmente diversi che il ragazzo con disabilità non riesce a riconoscere i coetanei come propri pari né ad essere riconosciuto come pari da loro.
L’estate è il momento in cui si diradano anche le attività di coetanei, fratelli, vicini di casa, conoscenti vari. Questo è perciò un momento propizio per consentire incontri finalmente liberi da scopi predeterminati, dalla fretta e dal pressante incombere degli impegni di tutti.
I fratelli delle persone con disabilità sono spesso spinti a ruoli di “adulti prematuri” con l’incarico, spesso non consapevole, di compensare con un po’ di soddisfazione e di sollievo i genitori tanto angosciati. Così la relazione tra i fratelli può perdere di spontanea leggerezza, perché il fratello non disabile, si sente investito della responsabilità di fratello maggiore, anche quando non lo è. Questo può comportare molti atteggiamenti e reazioni emotive, tipiche di un figlio inascoltato che può sentirsi condannato eternamente al ruolo del “fratello migliore “.
Molti genitori sensibili a questo meccanismo, nel tempo libero scelgono di dedicare verso quel figlio che considerano avere un po’ dimenticato, le attenzioni che durante il resto dell’anno non gli hanno rivolto.
Infine quel tempo in cui, durante le vacanze, si sta tutti insieme per alcuni giorni può essere un utile momento per guardare da lontano questi fratelli interagire, senza dover affidare loro un ruolo specifico, sentendosi così finalmente, una volta tanto, una famiglia senza aggettivi, una famiglia e basta.
Dott.ssa Maria Luisa Gargiulo