Voglio dare il mio contributo, forse un pò fuori dal coro, dal punto di vista di chi come me si occupa per lavoro di salute psicologica delle persone e delle famiglie.
Il trauma che questa ragazza dovrà superare, si profila come un’esperienza nella quale indubbiamente noi possiamo vederla solo come vittima e null’altro! A nulla valgono i tentativi di trovare in qualche modo una giustificazione, seppure lieve, seppur indiretta, una corresponsabilità della giovane non è sempre possibile, quando si conosce una nuova persona, accertarsi perfettamente che essa sia completamente affidabile. Questa ragazza non avrebbe potuto fare diversamente rispetto a ciò che ha fatto. Incutere paure nelle altre ragazze perché, dietro qualsiasi amico, si potrebbe celare uno stupratore, ci sembra abbastanza inutile, se non dannoso. Altra è la relazione duratura patologica, con una persona che si comporta in modo violento, minaccioso, malsano; relazione che ci può dare alcuni segnali di allarme, il suggerirci di allontanarci da quella persona prima che accada qualcosa di terribile. Ma in questo caso non è così, nulla faceva pensare tutto questo. Allora come possono le ragazze proteggersi da questo pericolo?
La domanda è semplice ma la risposta esatta forse non esiste. Ma ci sono una serie di elementi, a mio avviso molto importanti che dovremmo sempre tenere presenti. Secondo me possiamo fare in modo che queste cose accadono sempre meno, agendo in più direzioni convergenti affinché questo pericolo diventi sempre minore.
Credo che la questione debba essere affrontata riducendo la pericolosità degli uomini più che chiudendo a chiave le donne. E per farlo occorre agire su molti fronti. In questi giorni si sente parlare dell’inasprimento delle pene, della certezza della pena, del fatto che debbano essere utilizzate meno attenuanti quando i criminali vengono arrestati. Giustamente questo è un fattore che può agire come deterrente perché, sapere che quando si viene presi non si può farla franca, forse potrebbe influire. Purtroppo io non credo che questo sia un fattore sufficiente per diminuire significativamente questi orribili episodi. Quando si agisce una violenza del genere, si tengono raramente presenti le conseguenze. Se si fosse così saggi da ponderare il rischio della galera o di altri effetti, probabilmente si avrebbe anche la lucidità di non importunare, rapire, non stuprare.
La salute psicologica degli uomini che agiscono in questo modo è radicalmente alla base di queste azioni. Nessun deterrente giudiziario può bilanciare una personalità problematica, emotivamente analfabeta, non in grado di gestire e modulare i propri bisogni, non in grado di capire che ciò che desidera non le sia dovuto automaticamente.
Pochi anni fa quei ragazzi erano dei bambini. Come sono stati educati? In quale modo? Chi si occupa di loro? Quanto tempo hanno passato insieme a persone significative per riflettere e parlare dei desideri, dei bisogni del sesso, dell’amore, delle donne? Quali modelli hanno avuto? Come sono stati aiutati a superare lo sgomento, il vuoto di emozioni, la voglia di possesso che può senz’altro aggirarsi nell’animo di chiunque ma che, se non gestito, può trasformarsi in quello che noi abbiamo visto?
Ho letto della reazione della zia di uno dei giovani: mio nipote è un bambino – e poi continuava alludendo all’unica sua passione la sua squadra di calcio del cuore. Lo sconcerto che ho provato mi sorge dalla riflessione che delle due l’una: o questa persona sta tentando in qualche modo di contribuire goffamente ad una strategia giudiziaria di difesa disperata peraltro legittima da parte degli avvocati del ragazzo ma che poi diventa una terribile farsa quando si trasforma in giustificazioni e negazioni così plateali, oppure questa persona davvero non conosceva suo nipote. In perfetta buona fede lo percepiva come una persona quieta, infantile, semplice, trasparente cristallina.
Per passare a parlare del fenomeno e non più delle persone implicate, rifletto su quanta distanza mettiamo tra noi e i bambini, tra noi e gli adolescenti. Come le vediamo, attraverso quale filtro, quale l’ente che distorce e che annebbia per illuderci che siano i figli, i nipoti ideali che abbiamo sempre sognato. Che possiamo consolare giustificandoli, e non riuscendo a vedere nulla. Questa distanza però, contribuisce enormemente alla probabilità che queste persone diventino pericolose. Un ragazzo che dentro di sé ha un turbine di problemi, conflitti, bisogni mal espressi, inconfessate fantasie, inconfessabili progetti, di tutto può aver bisogno tranne che di gente che non riesce a vedere chi egli davvero sia.
La costante sta nella minimizzazione di qualsiasi problema intra familiare, educativo emotivorelazionale che abbia solo un piccolo risvolto psicologico. Il giustificazionismo educativo al quale a volte mi pare di assistere ed in troppi contesti, non fa che allontanarci dal considerare la situazione per quella che è, cosa che è l’unica base di partenza per poi prendere gli opportuni provvedimenti per aiutare i nostri ragazzi. Giustificare tutto come forma di protezione del figlio, sarebbe come illudersi che la quiete apparente corrisponda al benessere reale.
Quante volte gli insegnanti devono temere di parlare con i genitori di problemi scolastici perché si aspettano una reazione di difesa aprioristica, invece che una alleanza e collaborazione in favore della buona riuscita scolastica del ragazzo. Quante volte davanti a comportamenti che il genitore non si sente di poter comprendere né gestire, ci si trincera dietro un “passerà è l’età “, invece di consultare un professionista del benessere psicologico e della crescita? Quante volte la solitudine di un ragazzo è nascosta da trasporti interminabili tra i vari impegni pomeridiani che assolvono il genitore tassista, dalla difficoltà a comprendere e conoscere davvero quella persona ?… Quante volte giustifichiamo la nostra difficoltà a instaurare un dialogo con l’alibi dell’isolarsi del ragazzo con smartphone e simili protesi di una vita virtuale connessa?
Le tante problematiche educative non devono mai trasformarsi in accuse generiche verso i genitori, che sono pur parte di un contesto sociale più ampio, il quale di certo non è di loro aiuto in tante occasioni. Quanto poco si investe nella prevenzione psicologica? Quanti istituti scolastici non hanno uno sportello psicologico? Quanti psicologi degli enti locali che vanno in pensione non sono sostituiti da nuovi colleghi a causa del blocco delle assunzioni e del taglio al sociale?
Anche la psichiatria territoriale è in molte parti d’Italia in crisi organizzativa. Tante volte ci sono lunghe liste d’attesa per prendere in carico una persona in difficoltà e per forza maggiore ci si limita a gestire le emergenze più eclatanti.
Eppure è oramai è noto che la prevenzione in tema di salute mentale, è alla lunga conveniente anche dal punto di vista economico, oltre che aumentare la qualità della vita e delle relazioni. Più si prevengono e si gestiscono situazioni problematiche, più si evitano costi altissimi successivi in termini di spesa sanitaria, di costo sociale, di dolore personale, comportamenti pericolosi, di altre vite spezzate o segnate per sempre.
Ma un genitore per chiedere aiuto ad uno psicologo deve innanzitutto sapere cosa notare, essere disposto ad ammettere che c’è qualcosa che non va nella relazione educativa, conoscere i vantaggi di rivolgersi ad un professionista, sapere cosa e chi cercare, e poi poter pagare una o più parcelle, giacché spesso si tratta di un lavoro almeno a medio termine quasi tutto basato su prestazioni private.
Non tutti hanno la fortuna di avere e saper fare tutto questo. Ed in questi casi, la nostra struttura sociale non garantisce che queste persone siano aiutate dall’esterno, prima ancora intercettate, accompagnate e seguite in modo efficace.
Si tratta di un lavoro complesso, multifattoriale, che parte da un investimento serio innanzitutto economico oltre che culturale sulla protezione sociale del benessere psicologico. Ciò a partire dal sostegno alla genitorialità fragile, passando per la psicologia dell’educazione e quella scolastica, per arrivare ad agire sulle forme aggregative dell’età adolescenziale, epoca nella quale si formano e si consolidano i disturbi di personalità che, se non troviamo qualcuno che si prende carico del nostro inferno, ci portiamo poi per tutta la vita.